Il verde e il rosso.
Quella mattina Luca si svegliò in un luogo a lui sconosciuto. Non era la sua camera e nemmeno la stanza in cui lui e Giulia facevano le prove: verde, profumato e con un assordante cinguettio degli uccelli.
Ma dove si trovava, Luca non riusciva a ricordarlo, sembrava una specie di foresta: folta, umida e misteriosa.
Intorno a lui si innalzavano degli alberi maestosi e imponenti, ricchi di foglie e di rami che si intrecciavano con quelle degli altri alberi, alti e ombrosi.
La foresta era intricata, con le foglie che frusciavano e le ombre che si agitavano.
La vista era ancora un po’ appannata, ma in quel verde infinito, alcuni colori forti delle cose intorno, come il rosso e il giall,o facevano da contrasto sulla terra, ma nemmeno questi Luca riusciva a comprendere.
Sentiva delle fitte allo stomaco e improvvisamente si ricordò di qualcosa.
La sera precedente aveva suonato alla festa di Pietro e quella mattina la voce di suo padre che lo chiamava: “se vuoi che ti accompagni in aeroporto, ti conviene svegliarti, finirai per far tardi al provino!”
Gli sembrò per un istante di poter toccare la sua chitarra e sentire le corde taglienti con i suoi polpastrelli. La folla che lo acclamava, la sensazione di libertà e il sorriso di Giulia presero il posto nella sua mente, dandogli conforto, poi nostalgia.
Improvvisamente Diego e Giacomo, l’umiliazione e l’imbarazzo lo colpirono come un coltello e quel coltello stava girando nella piaga, lacerandolo, e poi di nuovo Giulia, la cosa più bella che gli fosse mai capitata.
Questa raffica di pensieri lo travolsero come il suono della sua chitarra quando suonava, ma non era la stessa cosa.
La verità era ormai chiara e non si poteva nascondere: aveva paura.
Di non vedere più Giulia, di non conoscere sé stesso e di quel luogo, così diverso dal boschetto in cui amava passeggiare.
Raccolse tutto il suo coraggio e si alzò, ma le gambe gli facevano male, il labbro sanguinava e il gomito era sbucciato.
Lo aveva capito: non poteva stare fermo lì aspettando il nulla, doveva inventarsi qualcosa.
Pensò di mandare un messaggio e chiedere aiuto, così si toccò la tasca posteriore dei jeans per prendere il telefono, ma la tasca era rotta e vuota, così la cosa più spontanea, istintiva e allo stesso tempo sciocca, fu quella di gridare.
Provò, ma le labbra erano secche e la saliva poca, così riprovò e questa volta il suono rimbombò nel verde infinito e interruppe quel silenzio assordante, facendo tremare le foglie sulla terra e dandogli fastidio alla testa.
Il suono dell’eco era finito e Luca si sentiva ancora un po’ stordito, così si concesse un minuto per riprendersi e per schiarirsi le idee.
Alcune foglie verdi si mossero e caddero dall’albero.
Stupidamente e spinto dalla paura andò a vedere e l’albero frusciò.
Qualcosa mugolava.
Luca aveva il cuore in gola, non riusciva a muoversi. Le braccia e le gambe bloccate come una statua di marmo freddo. Il corpo era rigido, il respiro affannoso, un palloncino che viene gonfiato da una persona senza fiato, e il blocco allo stomaco che lo paralizzava.
La sua amigdala era impazzita (ma perché proprio ora gli veniva in mente e non durante la verifica di scienze!) così rimase fermo lì aspettando il suo destino.
Una raffica di pensieri, gli veniva da svenire, stava per cadere a terra. Un urlo. Delle dita. Degli inconfondibili capelli rossi che facevano capolino da dietro una pianta.
Quella voce che gridò, non c’erano dubbi.
“Giulia!”, urlò.
“Luca!”, fece lei e poi all’unisono: “cosa ci fai qui?!”
Anche lei era distrutta: aveva le braccia coperte di sbucciature e i capelli impiastricciati di sangue.
Entrambi avevano uno sguardo stordito e stanco, era come se avessero appena corso una maratona.
“Cos’è successo?”, chiese lei
“Dove siamo?!?”, ribatté lui.
Non sapevano dove si trovassero, perciò avere paura era abbastanza logico e comprensibile come sentimento, ma Luca lo aveva vissuto sulla sua pelle: la paura era da deboli e questo se lo ripeteva continuamente.
Ma per fortuna lì con lui c’era Giulia, non voleva deluderla e doveva tornare a casa per non deludere anche suo padre.
La musica era tutto per lui ma l’ansia e l’insicurezza erano sempre sulle spalle: non ce la farai, non sei bravo, nessuno ti vuole, cambia strumento e così via.
La pressione era tanta: la scuola, lo sport, la chitarra.
***
Erano passate molte ore, o forse giorni? Settimane? Avevano perso il senso del tempo, il giorno e la notte si confondevano mentre tutto intorno a loro scorreva veloce e li lasciava indietro.
Camminavano intorno incerti, tremando per la confusione e il freddo, mentre la foresta diventava sempre più impenetrabile.
Di notte cercavano di accendere il fuoco ma l’oscurità avvolgeva la foresta come un mantello, mentre il vento scuoteva le fronde, facendole sussurrare e bisbigliare, spegnendo il fuoco, ma loro non si arrendevano.
Luca non ce la faceva più, era confuso e stanco, ma doveva andare avanti.
In quel viaggio stava scoprendo sé stesso, ma non era mai abbastanza, forse quella foresta si sarebbe rivelata positiva.
Doveva sfogarsi con qualcuno che lo avrebbe capito, ma perché proprio ora?
Così parlò a Giulia: ogni tanto si fermava a prendere fiato e lei lo fissava ascoltando in silenzio.
Luca le aveva detto tutto, ma non sapeva perché lo avesse fatto: era diventato pazzo o forse avrebbe dovuto farlo da tanto tempo?
Probabilmente entrambe le opzioni…
Le parlò di tutto: della pressione, di non volerla deludere, del fatto che non reggeva più. Le disse persino cosa provava per lei. Giulia non lo interruppe, non fiatò, non si mosse e lo fissava atterrita, ma totalmente consapevole: non aveva parole, non aveva voce, non sapeva come spiegare quello che provava.
Giulia era una ragazza forte e decisa e aveva una corazza che non si era mai rotta, ma questa volta entrambi cedettero al pianto, poi alla risata e si guardarono negli occhi come se non si vedessero da una vita.
In alto i rami degli alberi si intrecciavano fra di loro, tutto era buio intorno, ma uno spiraglio di luce, che le foglie avevano lasciato passare, li illuminava come un riflettore su un palcoscenico, come a casa.
Si tranquillizzarono, anche se ci misero un po’, e si fermarono a pensare sul da farsi, decisi a non mollare.
Erano stanchi dopo tutto quel camminare così decisero di tornare al punto di partenza, cercando di non perdersi.
Si guardarono attorno e videro degli oggetti colorati a terra, quelli che in precedenza aveva notato Luca, che li riconobbe, anche se il ricordo che ne aveva era sfocato e disordinato.
Cercarono qualche indizio e il riflesso di un pezzo di alluminio accecò Giulia, che si fece scappare un urletto.
Luca spostò l’alluminio e scovò un pezzo di carta, ma non un pezzo di carta qualunque: un biglietto aereo!
Entrambi guardarono in alto il cielo blu e sembrava che ci si specchiassero. Camminarono più lontano del solito, superando il loro “limite di sicurezza” spinti dalla speranza, per cercare spiegazioni.
Lo sguardo di Giulia si fermò su un albero verde, con molte liane e rami, ma la pianta era totalmente distrutta e dei pezzi di metallo bianchi facevano capire che era successo qualcosa…
Esitando, continuarono a camminare fino a che Luca non inciampò su un altro pezzo di metallo. Era confuso e sentiva un bruciore insopportabile alla caviglia.
Lui si fermò lì per il male e lei andò avanti.
Si sentivano i suoi passi sulle foglie a terra, ma dopo qualche istante calò il silenzio e Giulia gridò:
“Oh mio Dio! Luca, vieni immediatamente qui!”
A fatica si alzò cercando di reggersi a un ramo.
Era bianco, era distrutto, era familiare.
“Il nostro aereo”, sussurrò lui
“Già”, balbettò lei.
Il blu scuro: 5 anni più tardi.
L’università procedeva bene, la musica si stava rivelando un successo e ogni tanto Luca andava in discoteca con gli amici.
Non pensava più al suo passato: non voleva pensarci, alla giungla, a Giulia, a Diego, a Giacomo, voleva dimenticare.
Era semplicemente e finalmente felice.
L’unico momento in cui rammentava qualcosa, sebbene sfocato, era il rimbombo nelle sue orecchie del radar nell’aereo, la sua salvezza…
Era un pomeriggio di maggio; Luca stava andando alla festa di Pietro, molto emozionato di suonare la sua chitarra che lo stava già aspettando lì. Fissava di tanto in tanto il cielo, fischiettando tranquillamente, ma inciampò sulla radice di quello che sembrava un albero secolare, facendosi male alla caviglia destra.
Si rialzò e continuò a camminare, zoppicando, tutto bruciava: era come avere una spina conficcata nel piede, quando si bloccò.
La voce, l’aereo, la caviglia, il rosso, tutto rosso.
Una raffica di pensieri confusi e disordinati, ma talmente familiari che gli passarono davanti agli occhi come un film.
“Guarda il cielo! Siamo salvi”
“Sono qui per noi?”
Le mani al cielo, il petardo, l’elicottero, il padre.
Giulia invece aveva scelto di studiare medicina e, nonostante avesse molti impegni e poco tempo, non aveva dimenticato niente e ricordava Luca ogni giorno, pensando al pazzo momento in cui si sarebbero rincontrati.
Un giorno Luca tornò presto a casa dopo scuola e si fermò al solito boschetto per prendere un po’ d’aria fresca e pensare.
L’autunno aveva dipinto di un marrone morbido e arancione le foglie che decoravano e accendevano gli alberi come tanti piccoli fiammiferi.
Le cortecce erano nerissime e le foglie gialle sopra di loro si affacciavano profumate e fresche.
Intorno c’era un silenzio caldo, si sentiva solamente il rumore del fogliame rosso fuoco che soffocava il prato e che ogni tanto veniva calpestato dalle persone che passavano di lì.
Si sentiva un mormorio strano, come quando le pagine di un libro vengono girate con delicatezza.
Alcune macchie rosse, che non erano foglie, si confondevano dietro un albero: quei capelli rossi.
Luca per poco non cade a terra e un coltello lo colpì allo stomaco.
Fu come rinascere, come se tutta la vita gli passasse davanti agli occhi: tutti i momenti che, in quell’istante, ricordò.
E allora fece un gran respiro mentre andava incontro a quel rosso.