Valentina Ciocca
LA VIA DI CASA
In quest’ angolo sperduto di paradiso dovrei ritrovare la pace. Mi metto le cuffie per chiudere il mondo fuori e mi concentro sulla musica, cerco di evadere dall’incubo di giornate grigie tutte uguali e notti insonni, fatte di droga e birra da due soldi. Ho perso tutto, lavoro, amici, famiglia. Non sono più nulla, sono un sacco vuoto, un debole e un codardo. Sono ansia e malessere, sono scelte sbagliate e conseguenze troppo difficili da affrontare.
Penso alla mia bambina, nata da una notte folle di festa e alcool, lei così piccola e indifesa sta espiando le mie colpe. Non la rivedrò per molto tempo.
Non ho mai lottato per nulla nella mia vita, nemmeno quando Andrea mi ha proposto di trasferirmi da lui in un paese mai sentito prima. Premosello-Chiovenda, meno di duemila anime che vivono in un territorio circondato da montagne e vegetazione ai piedi della Val Grande, almeno così suggerisce Internet. Il progresso qui non sta al passo con i tempi, niente smog, cemento e grattacieli ma paesaggi che sembrano cristallizzati nel passato. Non ricordo di aver mai visto tanto verde in vita mia.
La strada per raggiungere Colloro, minuscola frazione abbarbicata su uno sperone di rocce, mi sembra infinita, curve a gomito che si susseguono a ritmo serrato; dal finestrino dell’auto osservo incredulo animali che pascolano a bordo strada, mi sembra assurdo, fino a ieri clacson e sirene erano la colonna sonora della mia vita.
Tatuato e in canottiera, così mi presento a Esterina, nonna di Andrea. Provo vergogna nei confronti di questa umile donnetta che mi accoglie in casa sua come se nella vita non avesse fatto altro che dare alloggio a poveri disgraziati.
Il suo sguardo limpido non mi giudica, mi sorride gioviale e si asciuga le mani nel grembiale a fiori in un gesto così semplice e genuino che sa di pulito e cose belle.
Osservo le sue mani callose consumate dal lavoro e le cicatrici sulle braccia.
“Da bambina andavo a pascolare le pecore a Capraga, una località appena qui sopra, dove passa il confine tra Premosello e il comune di Vogogna, un fulmine aveva colpito la stalla delle pecore e per salvare uno degli agnelli mi sono bruciata.”
“Allora è abituata ad aiutare i disperati” commento.
“Conosco il dolore… Ho partorito un figlio morto, per lui non c’era alternativa, è venuto al mondo troppo presto e io ero all’Alpe, non avevo modo di scendere e non ho potuto fare altro che seppellirlo e custodirlo nel mio cuore. La tua Maria invece ha tutta la vita davanti e merita di avere vicino il suo papà.”
Nessuno mi aveva mai chiamato papà, anzi, a nessuno era mai sfiorato il pensiero che io potessi essere un papà. Le sue parole sciolgono un grande nodo nel mio petto e inizio a piangere, per me, la mia bambina e quel piccolo che non ha mai visto gli occhi di sua madre. Esterina mi stringe in un abbraccio vigoroso, mi abbandono tra le braccia robuste di questa donna solida come una roccia, mi aggrappo a lei come se potessi assorbire parte della forza che emana.
Le giornate scivolano via come le pagine di un libro, trascorrono placide a un ritmo lento che non conosco e cerco di fare mio; al trambusto della città e l’andirivieni di personaggi loschi si sostituiscono passeggiate nei boschi e lunghe dormite. Camminando lascio fluire il respiro e i ricordi. Assaporo l’aria umida e muschiata che sa di terriccio e funghi.
Durante una delle mie escursioni in solitaria mi imbatto in un piccolo santuario, non
sono mai stato religioso, ma nella quiete della piccola chiesetta bianca dell’Alpe Lut, sopra al Bacino di Colloro, trovo la pace. L’odore di incenso e cera di candela si mescola a quello dei fiori freschi che adornano l’altare. Le pareti sono costellate di ex voto che raccontano di miracoli, piccole opere d’arte variopinte che testimoniano gratitudine e infondono speranza.
Da qui scorgo tutta la valle, è uno spettacolo che vale la pena di vedere. Inizio a prendere confidenza con la geografia di questi luoghi.
Ogni giorno la cucina di Esterina mi accoglie con fragranze nuove e sconosciute; con pochi semplici ingredienti che provengono rigorosamente dal suo giardino, riesce a mettere in tavola manicaretti che risvegliano anche le mie papille gustative in letargo. Assaggio pietanze variegate e scopro i sapori tipici di questa zona. Davanti a un piatto di pane e formaggio accompagnato alla composta di pere, innaffiato da un bicchiere di rosso corposo, persino la mia vita sembra meno complicata.
Momenti di euforia e sconforto si susseguono mentre cerco di trovare una sorta di equilibrio in questa nuova realtà dove il tempo sembra sospeso.
Esterina cerca di coinvolgermi nelle sue faccende per tenermi occupato e allontanare la mente da pensieri autodistruttivi.
Mi decido ad accettare la sua proposta di bagnare le piantine aromatiche, se non altro per ringraziarla delle attenzioni e delle cure che mi dedica.
L’orto è una tavolozza variopinta e profumata che occupa gran parte del giardino. In poco tempo imparo a distinguere l’aroma dolce del basilico, l’odore pungente del rosmarino, le noti forti e amarognole della menta piperita. Le piccole foglie pelose della salvia mi lasciano tracce profumate sui palmi delle mani.
È un’occupazione semplice, alla fine si tratta solo di innaffiare, attendere e osservare, che poi ha così tanto il sapore del prendersi cura.
Forse per la prima volta sono davvero disposto a darmi una possibilità.